Gransasso d’Italia Prati di Tivo
Prati di Tivo è una località turistica montana della regione Abruzzo, nel territorio del comune di Pietracamela, in provincia di Teramo, alle falde nord-orientali del massiccio del Gran Sasso d’Italia. Sede dell’omonima stazione sciistica, posta alla base del versante settentrionale del Corno Piccolo, dista 6 km dal centro storico di Pietracamela e 40 km da Teramo e ricade all’interno del parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Il sito è meritevole di particolare attenzione paesaggistica, costituendo uno dei luoghi montani più caratteristici e famosi della provincia teramana, nonché uno dei punti di accesso alle maggiori vette del Gran Sasso. Dalla località, circondata da boschi di faggio dell’Aschiero e di mandorlo, è possibile osservare da vicino la parete settentrionale della cima più alta della catena degli Appennini continentali (Corno Grande) e l’asperità del suo aspetto calcareo–dolomitico.
Montorio Al Vomano
Il nome Montorio deriva da Mons Aureus, monte d’oro, come dimostra la presenza di stemmi nel centro storico della cittadina, risalente al XIV e XV secolo. In realtà già dagli anni 940 e 948, con la Cartula de Terra Montoriana contenuta nel Cartulario della Chiesa teramana, risulta una prima trasformazione del termine Mons Aureus in Montorio, sebbene la cittadina mantenne l’antico nome per almeno un altro secolo.
Montorio sarebbe sorta sulle rovine o nei pressi dell’antica località pretuziana di Beregra o Beretra (Bέρεγρα ή Bέρετρα), e anche se alcuni storici hanno voluto identificare questa antica città nell’odiernaCivitella del Tronto, Felice Barnabei nel suo saggio archeologico sul tratto montano della via Salaria che scorreva lungo il Vomano, sembrerebbe avvalorare tale ipotesi, sia in base alla descrizione del geografo greco Tolomeo, che indicava come Beretra fosse la prima città del Pretuzio per chi giungesse dalla regione dei Marsi cioè da Amiterno, sia sulla base di alcuni brevi saggi archeologici effettuati poco distante ad est di Montorio in un campo dei Sig.ri Patrizi, dove furono ritrovati ampi tratti di mura e pavimenti marmorei e a mosaico, con notevoli quantità di legno bruciato facendo pensare che un incendio ne fosse stata la causa della distruzione[4].
Santurario di San Gabriele dell’Addolorata
Il Santuario si trova ai piedi del Gran Sasso, nel comune di Isola del Gran Sasso d’Italia, in provincia di Teramo.
Il santuario abruzzese comprende 4 strutture principali:
il convento, che ospita la sede dei Passionisti, dove nel 1862 morì San Gabriele dell’Addolorata;
l’antica chiesa, innalzata nel 1908 in onore di San Gabriele;
la nuova chiesa del 1970 in cemento armato, vetro ed acciaio, che in genere viene aperta nei giorni festivi per accogliere l’alto numero di pellegrini (può contenere 5/6 000 persone);
la sede dell’Eco di San Gabriele, la rivista mensile collegata all’attività del santuario.
Castelli
Il capoluogo è famoso per la produzione di ceramiche, una tradizione che risale all’inizio del Rinascimento, anche si presume precedente, che è divenuta famosa nel mondo per la qualità del design, ma soprattutto per la finezza della decorazione. Tra i maestri principali si annoverarono, in ordine temporale Antonio Lollo, i Grue e i Gentili. Al primo si deve un pregevole Giudizio di Paride in manganese con ritocchi di giallo, mentre aCarlo Antonio Grue (1655–1723) si attribuisce lo stile che rese celebre la maiolica di Castelli. Le sue opere raffigurarono prevalentemente temimitologici o gruppi di cavalieri armati. Fino agli inizi del XIX secolo varie generazioni di Grue si susseguirono ottenendo brillanti risultati.[6]
Il Comune ospita l’interessante e particolare Museo della ceramica nonché l’Istituto d’arte “F. A. Grue”.
Nel periodo in cui Potito Randi fu preside della Scuola d’arte fu realizzato da insegnanti e allievi dell’Istituto uno dei prodotti artistici più interessanti della moderna produzione castellana, il cosiddetto “terzo soffitto della Chiesa di San Donato” poi rinominato più felicemente il “Terzo cielo”.
Anche a Pescara esiste un museo privato che ospita le preziose ceramiche.
Nel 2009, il Consorzio di Produttori Centro ceramico Castellano ha realizzato le anfore utilizzate nel corso del Viaggio dell’Acqua organizzato in occasione dei XVI Giochi del Mediterraneo di Pescara 2009.
È possibile visitare la chiesa di San Giovanni Battista, famosa per la sua pala d’altare in ceramica realizzata nel 1647 da Federico Grue.
Il territorio è uno dei punti di accesso al parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga: salendo per Rigopiano è possibile raggiungere la parte meridionale di Campo Imperatore passando per Vado di Sole (1650 m s.l.m.) in circa 20 km e con un dislivello di circa 1200 m in un percorso naturalistico molto suggestivo. Imponente è inoltre la visuale sulla parete nord-est del Monte Camicia e la sottostante folta zona boscosa.
Torre di Cerrano
La Torre di Cerrano è una delle antiche torri costiere del Regno di Napoli, si trova sulla costa dell’Adriatico, in provincia di Teramo, tra Silvi Marina e Pineto; nel territorio di quest’ultimo comune, due chilometri a sud dell’abitato spicca nettamente all’orizzonte su una piccola collina a ridosso della spiaggia, circondata da un ciuffo di alti pini marittimi, in un ambiente di rara bellezza.
Deve il suo nome al vicino torrente Cerrano (l’antico Matrinus), il cui nome a sua volta deriva probabilmente da quello della dea Cerere(Demeter, Dea Mater)[1]. Il corso d’acqua nasce sui colli di Atri, da antichissime fontane di tipo qanat e sfocia 500 metri a sud della torre, nel Comune di Silvi.
L’area era un tempo il sito dell’antico porto di Atri, nello specchio di mare vicino alla torre e al torrente giacciono sommersi i resti di un molo a forma di “L”, opere murarie e vari manufatti[2].
Attualmente è una delle sedi del Centro di Biologia delle Acque dell’IZSAM[3].
Nel febbraio 2008 è stato costituito il Consorzio di gestione dell’Area marina protetta Torre del Cerrano, atto propedeutico all’emissione del decreto ministeriale istitutivo del parco marino. L’iter era iniziato nel 1997 quando il “Parco marino Torre di Cerrano” fu inserito nella legge 334[4]. Dopo molti anni, con un costante impegno da parte delle amministrazioni locali e soprattutto con il coinvolgimento di associazioni e portatori di interesse, il 7 aprile 2010 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 21 ottobre 2009, istitutivo dell’Area marina protetta Torre del Cerrano[5].
La Costa Teramana
Da nord a sud sulla costa s’incontrano sette città, soprannominate le sette sorelle: Martinsicuro, Alba Adriatica, Tortoreto, Giulianova, Roseto degli Abruzzi, Pineto e Silvi.
Fiorenti località con un mare bellissimo che si fregia della bandiera blu e con eccellenti servizi: alberghi, residence, bed & breakfast, campeggi e villaggi, a cui si aggiungono stabilimenti balneari sempre più attrezzati con aree sportive e ristoranti.
Oltre alla natura rigogliosa e al mare incantevole la costa teramana offre caratteristici borghi e importanti monumenti da ammirare.
Lago di Campotosto
Il lago di Campotosto è il più grande lago artificiale d’Abruzzo. Situato interamente in provincia dell’Aquila, tra i comuni di Campotosto (da cui prende il nome), Capitignano e L’Aquila, ad un’altitudine di 1.313 m s.l.m., presenta una superficie di 1400 ettari e raggiunge una profondità massima di 30-35 metri.
Il lago fa parte della riserva naturale statale omonima, istituita su una superficie di 1.600 ettari nel 1984 a tutela dell’ambiente naturale e del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
Civitella del Tronto
Le origini di Civitella del Tronto non sono chiare, anche se in località Ripe di Civitella e nelle grotte Sant’Angelo e Salomone, sono stati rinvenuti reperti risalenti al Neolitico e al Paleolitico superiore.
Civitella del Tronto si crede sorga sull’antica area della picena Beregra. Le prime testimonianze storiche certe la collocano nei secoli IX-X (l’origine dell’abitato attuale è altomedioevale) come città incastellata per sfuggire alle scorribande ungare e saracene.
Il paese fu invaso dagli Ascolani quattro anni dopo che nel 1251 avevano dichiarato guerra ai Teramani per fini espansionistici. A salvare i civitellesi intervenne papa Alessandro IV che pose fine ai cruenti e sconsiderati saccheggi ascolani evidenziati dal Vescovo aprutino Matteo I. Memore dell invasione ascolana e consapevole dell’importanza strategica di avere in zona di confine una fortificazione efficiente Carlo d’Angiò ordinò la fortificazione di Civitella che cominciÚ il 25 marzo 1269. Gi‡ nel secolo XIII il paese appartenente al Regno di Napoli era cinto da mura e, per la sua particolare posizione geografica di confine con lo Stato della Chiesa, ebbe sempre una grande rilevanza strategica. Civitella passÚ dagli Angioini agli Aragonesi nel 1442. Alfonso d’Aragona, dopo aver sconfitto Francesco Sforza e riconquistato anche Civitella nel 1443, trasformò il Castello civitellese in una Piazza Forte nel 1450 in vista dei venti di guerra con la Francia. Il luogotenente Alfonso, figlio di Ferdinando I, notando una donna posseduta dal maligno chiede aiuto a San Giacomo della Marca che compie il miracolo nel 1472. Nel 1495 i civitellesi continuano però a soffrire degli abusi del Castellano e, per protesta, danneggiano ben quattro delle cinque torri del castello che viene brutalmente saccheggiato. Le tasse del tribunale della Grascia, il fenomeno del banditismo e l’ospitalità militare che i civitellesi devono affrontare continuano anche dopo il trattato di pace di Blois portano la popolazione allo stremo.
Nel 1557 fu posta d’assedio da parte del francese Duca di Guisa, generale di Enrico II alleati con il Papa Paolo IV, che, benchè feroce e violento, non riuscì a espugnare la città, tanto che nel maggio dello stesso anno tolse l’assedio e si ritirò presso Ancona. Proprio in questa guerra, tra Francesi e Spagnoli, Civitella cambiò il suo nome in Civitella del Tronto, in quanto protagonista della Guerra del Tronto. La vittoriosa e valorosa resistenza che il popolo della cittadella riuscÏ a riportare venne apprezzata nell’intero Regno, tanto che ai suoi cittadini furono tolti gli oneri fiscali per quarant’anni, e a spese del demanio regio furono restaurati gli edifici e la fortezza. Per lo stesso episodio nel 1589 fu elevata al grado di Citt‡ e le fu conferito il titolo di Fidelissima da Filippo II di Spagna.
Nel 1627 a Civitella furono avvertiti terremoti. Un altro sisma si verificò il 21 gennaio 1703. La fedeltà di Civitella agli Asburgo continua anche negli anni bui di Filippo IV e Carlo II. Nel 1707 i civitellesi, caduti in mano austriaca, anche per via legittima del Trattato di Utrecht, perdono ogni beneficio fiscale. Il 16 agosto 1734 gli austriaci lasciano Civitella alle truppe di Filippo V. La dominazione borbonica ha inizio.
Venne assediata nuovamente dalle truppe Francesi nel 1798 cadendo con disonore, e nel 1806. In questo caso il forte, difeso dal maggiore irlandese Matteo Wade, sostenne un assedio di quattro mesi contro le ben pi˘ numerose truppe Napoleoniche, capitolando onorevolmente il 22 maggio 1806.
Una famosa pagina di storia legata a Civitella e alla sua fortezza è quella relativa al Risorgimento. Nel 1860, dopo aver attraversato L’Emilia-Romagna e le Marche, l’esercito di Vittorio Emanuele II di Savoia il 26 ottobre strinse d’assedio Civitella, durante il quale i soldati borbonici resistettero per ben duecento giorni. Nonostante il Regno delle Due Sicilie fosse finito il 13 febbraio 1861 con la caduta di Gaeta, e la resa fosse stata suggellata il 17 marzo con la proclamazione in Parlamento, a Torino, del Regno d’Italia, Civitella continuò a combattere, cadendo solamente il 20 marzo 1861, quindi tre giorni dopo che fu sancita l’Unità d’Italia. Questo episodio ne fa l’ultima roccaforte borbonica che si arrese, accettando, di fatto, la fine del Regno delle Due Sicilie.
Come sempre, durante un assedio coevo, una volta isolata la fortezza da possibili aiuti esterni, gli assedianti, guidati dal generale Luigi Mezzacapo (un napoletano di scuola borbonica), bombardarono la struttura per demoralizzare gli ultimi reparti borbonici. Sapendosi isolati e privi d’ogni speranza di soccorso, diversi reparti situati in alcune ali della fortezza si arresero. Eppure un’ultima parte dei militari, nonostante l’uscita dei camerati, decisero, pur allo stremo delle forze, di resistere ancora, per poi arrendersi solo alla fine[4]. I superstiti furono presi prigionieri e trasferiti in strutture detentive non identificate, a causa dell’assenza di approfondite ricerche storiche in merito.